Obbedire è non giudicare: in apparenza, una pratica di benevolenza verso se stessi, verso gli altri … una filosofia del “sapersi accontentare” e del …. "meglio di così non posso fare". Tutto quello che noi percepiamo in merito a “chi riteniamo di essere” e al “cosa riteniamo di saper fare o non fare” di fatto è ciò che ci fa muovere e stare nella nostra vita di ogni giorno.
Obbediamo al nostro personaggio, a quello che ci fa stare in mezzo agli altri e nella nostra vita. A volte però queste nostre “convinzioni” possono essere ostacolanti, e possono funzionare da vere e proprie “prigioni” sia di natura cognitiva che meramente fisica. Il non giudizio è l’esercizio che ci consente di “rimettere in discussione” quelle che sono le nostre convinzioni, credenze e abitudini, il nostro procedere con il “pilota automatico”. Essere non giudicanti può condurci, praticando la sospensione intenzionale dell'impulso a definire, valutare e giudicare l'esperienza, a coltivare la possibilità di essere aperti alle esperienze. Di qualunque natura esse siano. Si allenano le capacità di accorgerci e distinguere nelle nostre esperienze quali sono le componenti dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni corporee e del nostro respiro. Allenare la mente e allenare il corpo nel “non giudizio” significa essere aperti anche agli stati non positivi, sia della mente che del corpo, esplorandoli con curiosità e con atteggiamento amichevole, offrendo a se stessi la possibilità che questi possano anche cambiare, o quanto meno che possa cambiare il nostro modo di stare con essi. Ed è sempre il “non giudizio” che spinge all’esplorazione dei propri limiti, e che fa si che anche le competenze, i ruoli, i risultati che fanno parte della nostra vita non vengano mai da noi considerate come definitivamente raggiunte, acquisite, completamente esplorate. Nella pratica della meditazione lo stato del non giudizio è considerato un pilastro… un principio al quale aderire. E nel coaching è dato ugualmente come un principio che caratterizza l’atteggiamento da coltivare con il coachee, favorendo per quest’ultimo la possibilità di esprimere con verità il proprio se, le proprie passioni, il proprio modo di vivere la possibilità e la non – possibilità di fare, essere, sentire. Tuttavia, per far si che il non giudizio abbia questo…potere, si accompagnerà con una seconda parola magica… che è l’intenzione. Solo l’intenzione sosterrà la persona che sta sperimentando la pratica della meditazione a osservare ciò che accade, nel bene e nel male, in modo non giudicante. E farà si che la pratica possa crescere e consolidarsi. Solo l’intenzione sosterrà il coach che, essendo umano, giudica il suo coachee e sceglie, con intenzione, di sospendere il giudizio, nel bene e nel male, e proseguire nella coaching conversation. Solo l’intenzione ci sostiene nella pratica utile del non giudizio. Sia nell’eccellenza che nel fallimento.
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Per ascoltare...In merito alle abilità del coach si da importanza alla capacità di ascolto, ascolto profondo e consapevole di quello che esprime il coachee durante la conversazione, imparando le tecniche di rimando delle parole e delle espressioni utilizzate ai fini di favorire la consapevolezza dell’altro.
Ma il rischio che si corre continuamente nella relazione di coaching è la tentazione di smettere di ascoltare il coachee per ascoltare invece la propria sfera di abilità successive da mettere in campo, ovvero: “e adesso, che cosa dico, quale domanda faccio?” Quando nella formazione del coaching ci si dedica a dare significato all’ascolto, effettivamente si fa riferimento al fatto che si può ascoltare il nostro prossimo se si è innanzitutto capaci di ascoltare se stessi. Ma non si approfondisce in merito a ciò. Ancora una volta ritrovo invece la possibilità di sviluppare l’ascolto degli altri partendo di fatto da tutto ciò che è la pratica di consapevolezza. Portare l’attenzione è ascoltare. Impegno ed intenzione nella pratica dell’attenzione è riscegliere in continuazione di portare e riportare l’attenzione su uno o più oggetti: dunque il coach “mindful” è allenato a portare e riportare la propria attenzione al coachee! Il rimanere impigliati nel pericolo precedentemente descritto (e adesso, quale domanda faccio?), oltre ad essere un ascolto “non direzionato e magari non consapevole”, nasconde un sottofondo di sfiducia nel proprio se del coach, oltre a risultare nel “non ascolto” di quello che sta accadendo nella relazione con il coachee. La pratica della consapevolezza allena le capacità di ascolto profondo di noi e dunque la capacità di ascolto degli altri (che poi si tratti di ascolto nella relazione di coaching, a questo punto, è solo una delle possibili contingenze!). Il passaggio sopradescritto è molto profondo e, di fatto, nasconde molte fasi intermedie… senza le quali rischia di essere un motto, una sorta di esortazione che non conduce ad un reale “esercizio” che ci conduca ad un ascolto profondo. Di fatto ascoltarsi profondamente significa accogliere il fatto di poter aver dubbi, debolezze e sensazioni di inadeguatezza. Esattamente ciò che capita quando il coach pensa “e ora cosa chiedo”: questo è un momento di dubbio. Provare ad ignorarlo può condurci ad ignorare la nostra essenza… accoglierlo ci conduce invece verso la possibilità di aprirci al … non essere giusti – bravi – adeguati. Questo fare spazio a noi, provando ad osservarci con curiosità e attenzione, senza giudizio, riesce a creare uno spazio nuovo e più ampio dove il coachee ritorna ad essere il nostro protagonista! Non siamo noi – la nostra capacità e la nostra abilità ad essere protagonisti! La nostra intenzione è l’attenzione al coachee e dunque, nel riportare l’attenzione a lui, la competenza dell’ascolto verrà onorata; fiducia ed ascolto danzano insieme in una relazione di coaching. La meditazione ci aiuta ad ascoltare noi, fino in fondo, nel piacevole e nello spiacevole, partendo dalle cose più semplici e immediatamente a noi disponibili: il corpo, il respiro. Per poi passare a pensieri ed emozioni. Stare nel presente. E questo ci conduce nel portare queste abilità in ogni momento della nostra vita. Una bellissima esperienzaOggi desidero parlare della esperienza del corso di Photo Coaching che ho avuto l'opportunità di fare proprio in questo fine settimana appena trascorso… Davide Tambone è straordinario, trasmette veramente l'essenza del coaching, al di là dei contenuti specifici di questo programma del Photo Coaching, che ha sviluppato per rendere onore al fatto che le fotografie possono essere utilizzate nella coaching conversation, e che hanno un potere veramente grande, come strumenti nelle mani di chi desidera. Mi piace sottolineare che le riflessioni, le esperienze che si fanno mentre durante il corso ti vengono trasmessi questi strumenti sono innanzitutto personali. Suggerisco dunque oggi una lettura dei suoi scritti e delle sue pagine su web, prima tra tutte http://www.coachpuglia.com/ Una vera ricchezza personale vi aspetta se decidete di seguire il suo corso! Un'altrettanta ricchezza vi attende se anche solo iniziate a riflettere sulle vostre fotografie, quelle che fate, quelle che vi fate fare. Se iniziate a osservarle con un interesse diverso rispetto a quello dei ricordi che vi riportano alla mente, tipo: ma che intenzione avevo quando l'ho fatta? ma rappresenta qualcosa per me? e se si, cosa? Beh… le risposte che potete trovare sono piene di grandi stimoli e spunti per tutti voi. L’esperienza di coaching è una esperienza di fiducia. Fiducia reciproca, tra il coach e il coachee, espressa in un patto di partnership che richiede una relazione tra pari: non c’è uno che ne sa di più dell’altro, o che deve imparare qualcosa dall’altro. Entrambi sono sapienti, entrambi sono aperti all’apprendimento e dunque al cambiamento! Il coach è sapiente del suo metodo, delle sue abilità, il coachee è sapiente della sua vita. La fiducia sostiene le domande potenti che il coach pone per attivare la coaching conversation. La fiducia che ha il coachee è nel ripercorrere ed esplorare le sue risorse, nel prendere consapevolezza del fatto che il primo attore della propria vita, professionale e non, è sempre e comunque lei/lui. Una frase che mi rimase molto impressa quando iniziai a prepararmi per essere coach fu la seguente: puoi sempre scegliere cosa e come essere e/o fare in relazione a quanto ti capita. Beh è la fiducia posta in questa frase che può smontare tutte quelle frasi fatte che molto spesso ci ritroviamo a ripetere tipo: non ci riesco, non ce la faccio, non lo so… E’ la fiducia che rimette nelle nostre mani la responsabilità di essere chi siamo e di fare quello che scegliamo di fare! Ma che significa “provare, avere, sentire fiducia”, come … .si fa? Mi sento di suggerire, basandomi su quelle che sono le mie esperienze personali, che alcuni importanti fondamenti della fiducia stanno nel prendere consapevolezza del momento presente, proprio quello che stiamo attraversando ora, io nello scrivere queste righe, voi nel leggerle. E ancora una volta trovo dunque sostegno e reale pratica di fiducia proprio nella pratica della meditazione e della mindfulness… Scrive Kabat-Zinn nel suo Vivere momento per momento, proprio nella parte iniziale del libro e nel capitolo intitolato “Hai solo momenti da vivere”: I nostri pensieri sono tanto potenti, soprattutto in momenti di crisi o di turbamento emotivo, da annebbiare facilmente la consapevolezza del presente. (…) Se cominci a fare attenzione a dov’è la tua mente momento per momento durante il giorno, cosa che lo studio sulla felicità suggerisce che potrebbe essere di cruciale importanza per la tua qualità di vita, probabilmente scoprirai che una parte notevole del tuo tempo e della tua energia è assorbita da ricordi, fantasticherie, rimpianti legati al passato. E troverai che una parte altrettanto grande, o forse maggiore, è assorbita dall’attesa, dalla pianificazione, dalle preoccupazioni e dalle fantasticherie riguardo al futuro e a ciò che vorresti o non vorresti che accadesse. La coaching conversation vuole essere proprio quanto ho sottolineato nelle parole che riporto sopra…un tempo, una esperienza di qualità di vita. Per il coachee è esperienza di qualità del tempo, visto che la richiesta che fa il coach è stare nel presente della sessione e della conversazione: questo facilita l'affidare il proprio sé ad una possibilità diversa, più ampia e, come capita spesso, genera per il coachee il darsi il permesso di esplorare diverse e nuove possibilità di essere e fare. Ecco dunque la fiducia! Un piccolo spunto, sempre dal libro di Kabat-Zinn prima citato, che con estrema sintesi ci dice che: praticare la consapevolezza è generazione di fiduciaAnche qui mi auguro che questi due brevi spunti di lettura possano spingervi a leggere .... un primo passo "cognitivo" che può portare interesse per la meditazione e le pratiche di consapevolezza in generale!
Per una consapevolezza sulla nostra ricchezza di essere umani, ho trovato questo breve video così ricco di ispirazione e ho deciso che, si, è il mio primo post di quest'anno. Buon tutto! Mi fido di te |
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Aprile 2019
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