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4/14/2019

Obbedisci con cautela: la cieca accettazione è pericolosa …

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Obbedire è non giudicare: in apparenza, una pratica di benevolenza verso se stessi, verso gli altri … una filosofia del “sapersi accontentare” e del …. "meglio di così non posso fare".

Tutto quello che noi percepiamo in merito a “chi riteniamo di essere” e al “cosa riteniamo di saper fare o non fare” di fatto è ciò che ci fa muovere e stare nella nostra vita di ogni giorno.
Obbediamo al nostro personaggio, a quello che ci fa stare in mezzo agli altri e nella nostra vita.
 
A volte però queste nostre “convinzioni” possono essere ostacolanti, e possono funzionare da vere e proprie “prigioni” sia di natura cognitiva che meramente fisica.
 
Il non giudizio è l’esercizio che ci consente di “rimettere in discussione” quelle che sono le nostre convinzioni, credenze e abitudini, il nostro procedere con il “pilota automatico”.
 
Essere non giudicanti può condurci, praticando la sospensione intenzionale dell'impulso a definire, valutare e giudicare l'esperienza, a coltivare la possibilità di essere aperti alle esperienze.
Di qualunque natura esse siano.
Si allenano le capacità di accorgerci e distinguere nelle nostre esperienze quali sono le componenti dei nostri pensieri, delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni corporee e del nostro respiro.
 
Allenare la mente e allenare il corpo nel “non giudizio” significa essere aperti anche agli stati non positivi, sia della mente che del corpo, esplorandoli con curiosità e con atteggiamento amichevole, offrendo a se stessi la possibilità che questi possano anche cambiare, o quanto meno che possa cambiare il nostro modo di stare con essi.
 
Ed è sempre il “non giudizio” che spinge all’esplorazione dei propri limiti, e che fa si che anche le competenze, i ruoli, i risultati che fanno parte della nostra vita non vengano mai da noi considerate come definitivamente raggiunte, acquisite, completamente esplorate.
 
Nella pratica della meditazione lo stato del non giudizio è considerato un pilastro… un principio al quale aderire. E nel coaching è dato ugualmente come un principio che caratterizza l’atteggiamento da coltivare con il coachee, favorendo per quest’ultimo la possibilità di esprimere con verità il proprio se, le proprie passioni, il proprio modo di vivere la possibilità e la non – possibilità di fare, essere, sentire.
 
Tuttavia, per far si che il non giudizio abbia questo…potere, si accompagnerà con una seconda parola magica… che è l’intenzione.
Solo l’intenzione sosterrà la persona che sta sperimentando la pratica della meditazione a osservare ciò che accade, nel bene e nel male, in modo non giudicante. E farà si che la pratica possa crescere e consolidarsi.
Solo l’intenzione sosterrà il coach che, essendo umano, giudica il suo coachee e sceglie, con intenzione, di sospendere il giudizio, nel bene e nel male, e proseguire nella coaching conversation.
 
Solo l’intenzione ci sostiene nella pratica utile del non giudizio.
​Sia nell’eccellenza che nel fallimento. 

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